Il sociale influisce sull'aspetto psicologico dell'individuo e l'individuo crea la conformazione sociale attraverso l'azione.
Agli inizi degli anni '60 una ricerca psicologica destò molta impressione: l'esperimento, molto ben congegnato, metteva i soggetti dell'indagine di fronte alla possibilità o meno di somministrare scosse elettriche, anche pericolose, a un'altra persona. Non mi dilungo nella descrizione del test, quel che conta è che, di fronte a una persona autorevole, in questo caso un presunto scienziato, le persone agivano in modo del tutto contrario a qualunque "buon senso".
Lo stesso Milgram, ideatore della ricerca, scrisse "... ciò che lasciò sbigottiti fu la volontà esasperata, da parte di persone adulte, di giungere fino all'estremo grado di obbedienza all'autorità, non da parte di individui sadici ai margini della società, ma da parte di gente normale, rappresentativa di diverse classi sociali. Gente normale, che si occupa soltanto del suo lavoro e che non è motivata da nessuna particolare aggressività può, da un momento all'altro, rendersi complice di un processo di distruzione." Un altro fenomeno molto interessante nell'ambito della psicologia sociale riguarda l'ignoranza pluralistica. Un semplice esempio permette di capire di cosa si tratta: talvolta una classe di studenti, dopo una lezione incomprensibile e nonostante sollecitazioni a richiedere chiarimenti, sta completamente zitta. E' probabile che ciascun studente pensi di essere il solo a non avere capito, temendo così il giudizio da parte degli altri.
Le conseguenze sociali dell'ignoranza pluralistica possono essere gravi:
certe norme in cui non crede più nessuno continuano a essere tenute in piedi, ostacolando processi innovativi.
Questi esempi, ma ce ne potrebbero essere molti altri, sottolineano l'importanza dell'influenza che, inevitabilmente, riguarda ciascuno di noi, sia come sorgente che come bersaglio. Il risultato è spesso conformismo, compiacenza, apatia, delega di responsabilità e via dicendo. Il caso del moribondo tra la folla che chiede aiuto inutilmente è emblematico: non c'è cattiveria dei passanti, semplicemente l'ignoranza pluralistica ha la meglio ("se nessuno lo aiuta ci sarà un motivo, dunque perché dovrei farlo io?").
Questo tipo di considerazione è in atto in ciascuno di noi, in forme più o meno evidenti, e l'idea che una nostra piccola azione non cambierebbe lo stato delle cose, così enormemente più grandi, ci legittima a non agire.
A questo punto è necessario introdurre un nuovo concetto: l'influenza minoritaria. Essa riguarda l'effetto sul contesto sociale che hanno individui o gruppi in minoranza numerica.
Vari esperimenti, condotti soprattutto da Moscovici, hanno messo in evidenza che tale influenza, meno evidente di quella maggioritaria, agisce però a livello molto più profondo. E' un'influenza non immediata, i cui effetti sono a lunga scadenza, non manifesti in modo evidente, spesso indiretti, ma modificano strutturalmente il punto di vista; non a caso si usa il termine conversione.
Tuttavia affinché un'influenza minoritaria sia efficace occorre, tra le altre cose, che vi sia un terreno fertile, una situazione o un periodo storico che permettano la crescita di certe idee.
Portiamo ora il discorso sull'attuale periodo che stiamo vivendo: certa saturazione del nostro modello di vita e le sue infauste conseguenze incominciano a diventare motivo ricorrente. Ciononostante la vita quotidiana di ogni individuo segue i soliti percorsi: come topi addestrati in un labirinto sappiamo trovare spesso la via di casa, ma essendo qualcosa di più di un misterioso topo, siamo anche consapevoli della ragnatela in cui viviamo.
Ma questo evidentemente non basta.
La consapevolezza non è mai sufficiente a cambiare le cose. La tutela dell'ambiente, la povertà del terzo mondo, il consumismo, l'alienazione sono parole che sentiamo in sottofondo da sempre, ma sono troppo astratte o lontane dal nostro spazio di vita per fungere da stimolo concreto a un cambiamento. L'ignoranza pluralistica insieme a un'attenzione patologica per il nostro singolo individuo vincono comunque.
Eppure qualcosa sta cambiando. Insieme a uno scetticismo antico che fa essere pessimisti sulle possibilità di un rinnovamento, insieme a una sempre maggiore frammentazione dell'individuo che cerca sempre più un appagamento immediato dei propri bisogni, sta crescendo una sensibilità per certe tematiche: non in tutti, non in modo evidente, ma il terreno è ormai inzuppato e respiriamo una strana aria di insicurezza.
A questo punto la consapevolezza non basta: occorre l'azione. E qui si apre un nuovo discorso, con una riflessione teorica e una pratica.
Teoricamente, è bene interrogarci come il concetto di azione entri nella psicologia e nella psicoanalisi. Praticamente, è utile indagare il tipo e il margine di azione che possiamo mettere in atto.
Iniziamo dalla teoria. C'è una tradizione consolidata che ha sempre posto l'accento sull'individuo psicologico visto come elaboratore di informazione o quant'altro, comunque sempre avulso da un contesto concreto.
Al contrario, sul versante sociologico, l'individuo come soggetto scompare lasciando il posto a dinamiche collettive dove il singolo sembra potere ben poco. Lo stesso Weber, pur parlando di responsabilità, ha sempre rifiutato un discorso psicologico sull'individuo. Solo pochi autori isolati, sebbene riconosciuti fondamentali (ad esempio Lewin e Vygotskij), hanno messo in evidenza che sociale e individuale appartengono allo stesso processo, sono simbiotici e non c'è prima l'uno e poi l'altro. Il sociale influisce sull'aspetto psicologico dell'individuo e l'individuo crea la conformazione sociale attraverso l'azione. Concetto che sembra ovvio, ma che spesso viene dimenticato: un possibile pericolo della psicoanalisi riguarda proprio questo.
La concentrazione su se stessi, sulla consapevolezza, sulle problematiche individuali, potrebbe far dimenticare il nostro essere sociale.
Un po' come la società occidentale che ha costruito il proprio benessere incurante di tutto il resto. Ma ormai anche questa soluzione sembra non funzionare: i problemi e i conflitti sono a tal punto generalizzati che riguarderanno tutti.
Ma che fare nella pratica? Non si tratta di diventare eroi e dedicare la propria esistenza a risolvere i problemi del mondo. Chi sente di doverlo fare prenderà questa strada radicale e considerevole, ma è pur vero che tra un'ignavia totale e il gesto romantico esistono molte possibilità che ciascuno di noi può intraprendere. La potenza di semplici individui riuniti in gruppi che, a loro volta, formano la società, è enorme.
Per non rimanere nel vago suggerisco alcuni esempi molto semplici e poco impegnativi che, se seguiti da molti, assumono una forza tale da modificare in modo significativo la realtà. Attenzione agli acquisti per non incrementare la corsa al consumismo; attenzione all'influenza della pubblicità; devolvere una minima percentuale dei propri guadagni ad associazioni serie che agiscono nelle zone di emergenza. Esempi che possono essere affiancati da altri magari più incisivi; esempi che non dicono nulla di nuovo; la novità consiste nell'attuarli. Credo che l'influenza minoritaria di coloro che agiscono in questo senso e la sua pubblicità trovino oggi il terreno fertile che fino a poco tempo prima mancava.
Semplice illusione?